“Molteplici e significative anomalie di diversa natura e origine” caratterizzarono quella complessa operazione commerciale che, tra il 1999 e il 2000, porto’ la Parmalat di Calisto Tanzi ad acquistare per 829 miliardi lordi di vecchie lire Eurolat, il ramo lattiero-caseario del Gruppo Cirio, guidato all’epoca da Sergio Cragnotti.
Un affare, realizzato con la ‘benedizione’ della Banca di Roma e del suo presidente Cesare Geronzi, che Parmalat concluse stipulando “condizioni economiche del tutto difformi da quelle proprie della fase precontrattuale e avulse dalla usuale logica d’impresa”, tutto a beneficio della controparte.
A queste conclusioni sono giunti i giudici della nona sezione penale del tribunale di Roma nelle motivazioni della sentenza conclusasi lo scorso ottobre con la condanna di Cragnotti a 5 anni e mezzo di reclusione per la distrazione di 64 miliardi di lire e con l’assoluzione dall’accusa di estorsione e di bancarotta dello stesso Geronzi e dell’avvocato Riccardo Bianchini Riccardi, che in questa vicenda ricopriva il duplice ruolo di componente del cda di Cirio e di consulente della societa’ per la trattativa.
Per il tribunale, la responsabilità dell’ex patron della SS Lazio va individuata proprio nell’episodio dei 64 miliardi di lire (inseriti negli 829 miliardi complessivi), legati al cosiddetto ‘patto di non concorrenza’ che Parmalat siglo’ con Bombril Cirio International SS in base al quale Cirio e qualsiasi societa’ ad essa collegata o controllata in modo diretto o indiretto avrebbero dovuto astenersi per 5 anni, in quasi tutti i paesi del mondo, dall’intraprendere attivita’ nel settore lattiero-caseario, in concorrenza con la Divisione Latte acquisita dal colosso di Tanzi. Ecco, per il tribunale questo esborso di 64 miliardi (che Parmalat verso’ ‘cash’ attraverso bonifici bancari) e’ risultato essere “del tutto ingiustificato, privo di rilevanza e di utilita’ reale” per l’azienda di Tanzi.
Si e’ trattato, insomma, di “un trasferimento di ricchezza fuoriuscito dal patrimonio di Parmalat in assenza di una vera contropartita” perche’ “doveva sostanzialmente servire ad assicurare a Cragnotti e alla Banca di Roma il raggiungimento di un risultato economico prestabilito, che entrambi miravano ad ottenere, in forza di un interesse comune, attraverso l’operazione Eurolat”.
Quei soldi in piu’, inseriti nell’affare, scrivono i giudici nelle motivazioni, servivano a ripianare in parte l’ingente debito del Gruppo Cragnotti verso l’istituto di credito. Di questa bancarotta deve rispondere, oltre a Tanzi, gia’ giudicato in altra sede con sentenza irrevocabile, solo Cragnotti per “aver fornito un personale, ineliminabile e consapevole contributo causale”.
L’ex patron della SS Lazio, si legge nella sentenza, “avendo sottoscritto il contratto distrattivo nella qualita’ di legale rappresentante della BCI SA ed essendo perfettamente al corrente della destinazione delle somme rivenienti (avendola pianificata in ccordo con i dirigenti della banca) dal patto al ripianamento dei debiti del proprio gruppo verso Banca di Roma, era consapevole dell’assenza di una reale contropartita che bilanciasse la prestazione della controparte Parmalat”.
Da questo punto di vista il tribunale non ha evidenziato “alcun ruolo attivo” riconducibile alla figura di Bianchini Riccardi. E lo stesso va detto per Geronzi anche se a parere dei giudici, Cragnotti, “essendo parte necessaria dell’atto distrattivo, ha agito come ‘longa manus’ della Banca di Roma ad un tempo perseguendo interessi propri e prestandosi a realizzare interessi altrui, riconducibili all’istituto di credito, soggetto che appare promotore, artefice primario e in larga parte beneficiario dell’operazione Eurolat”.
In conclusione, per il tribunale Parmalat comprò Eurolat sicuramente “a condizioni economiche più onerose rispetto all’effettivo valore del bene” anche se l’istruttoria dibattimentale non e’ stata in grado di precisare il ‘quantum’ del sovrapprezzo.
Il dato certo e’ che per la compravendita di Eurolat vennero pagati 701 miliardi netti di lire, di cui 637 formalmente imputati all’acquisto del pacchetto azionario e altri 64 per il ‘patto di non concorrenza’.
Tra le tante anomalie dell’affare, una riguarda proprio i criteri di determinazione del prezzo utilizzato dalle parti nel contratto definitivo del 2 febbraio 1999, definiti dal tribunale “assolutamente incomprensibili e fuori da ogni logica economico-imprenditoriale, e tutti a svantaggio (perche’ ancorati in modo fisso ad una redditivita’ dell’anno precedente che risultava maggiore rispetto a quella del 1998) del compratore Parmalat”.
Secondo la Procura di Roma questi prezzi potrebbero essere stati in qualche modo imposti a Tanzi: da qui l’accusa di estorsione contestata ai tre imputati sul presupposto che la Parmalat fu costretta a portare a termine un’operazione finanziaria a prezzi incongrui perche’ altrimenti non avrebbe piu’ beneficiato, pur essendo gia’ esposta, di ulteriori finanziamenti da parte di Banca di Roma.
L’istituto di credito “aveva interesse a sostituire il debitore Cirio con il debitore Parmalat, soggetto quest’ultimo non ancora toccato dai ‘rumors’ relativi alle prime avvisaglie di un possibile default, che invece iniziavano a circolare negli ambienti economici e finanziari riguardo alla Cirio”.
Il racconto di Tanzi circa le pressioni avute da parte della Banca di Roma trova “affidabile sostegno probatorio” ma il coinvolgimento di Geronzi non e’ desumibile in termini di certezza.