Spett.le Redazione,
scrivo per raccontare alcuni significativi episodi capitatimi in una, una unica, giornata qualunque, di questo nostro tempo che, lo capiamo ogni giorno di più con la nostra libertà e sicurezza sotto minaccia, proprio qualunque non è.
In mattinata vengo fermato nei pressi di Fidenza da una pattuglia di carabinieri per un controllo di routine. Mentre un agente controlla i miei documenti, mi intrattengo a chiacchierare con il suo collega ed arriviamo così a parlare dei guasti di questa nostra Italia della quale lui è servitore in divisa, impegnato in quella trincea difficile, scomoda, sempre più rischiosa, frustrante e sottopagata che è diventata il suo lavoro.
Il carabiniere (che non so in quale città risieda) ha sette figli e si sfoga: dice che non gli è stato riconosciuto alcun contributo per i libri di testo dei suoi due figli più piccoli, mentre al signore marocchino nullafacente, suo vicino di casa, i servizi sociali pagano affitto e bollette. “Lei uno stipendio ce l’ha, di cosa si lamenta”, pare gli abbia risposto seccata l’impiegata del comune alla quale ha inoltrato la sua richiesta di contributo. “Cavoli suoi se ha voluto mettere al mondo sette figli”, avrebbe potuto aggiungere.
Più tardi passo in banca dove parlo con un mio amico che, mi racconta, pochi giorni prima è andato al Pronto Soccorso per un attacco di diverticolite. Mi dice che è stato bloccato là dalle 17:30 alle 3 del giorno successivo. Durante quelle lunghe ore, il Pronto Soccorso, un’altra difficile trincea di questa Italia così democratica e allegramente multietnica, si è popolato di una orda di cittadini stranieri che sono soliti recarsi al Pronto Soccorso per cose banali o solo per farsi prescrivere medicinali, come andassero dal medico curante: alcuni di loro manifestavano in modo chiassoso e maleducato la loro impazienza, bussando alle porte e protestando per l’attesa. Un infermiere, un altro servitore in altro tipo di divisa, si sfoga e si lamenta col mio amico: “tutti i giorni è così, non ne possiamo più.
E pensi che sempre più stranieri fanno venire qui i loro parenti per farsi operare, di cataratte o al cuore, gratuitamente dal nostro Sistema Sanitario”. E’ un loro diritto, pare, in questo Paese così aperto, sindacalizzato e masochista in cui un diritto non lo si nega mai a nessuno.
Nel tardo pomeriggio vado a vedere la partita di mia figlia che gioca a pallavolo in una (brutta, vecchia e fatiscente) palestra dell’oltretorrente: mentre aspetto l’inizio della partita faccio due passi in piazzale Picelli, tra macellerie islamiche, money transfer e africani col cappello da baseball messo al contrario che sputano per terra, e decido di entrare nella chiesa di santa Maria del Quartiere. Le luci sono accese ma porta è chiusa a chiave perché, mi spiega poi la gentilissima signora che mi accoglie aprendomi la serratura, spesso lì fuori ci sono persone ubriache e moleste e lei ha paura.
E’ ormai sera e sto per arrivare in palestra per l’abituale allenamento, per sgravarmi nel sudore del gioco, di tutto quel malessere assorbito da un’ attualità tetra e ingiusta. Un mio compagno di squadra ha lo sguardo stranamente teso e preoccupato. Mi racconta che poco prima, per la quarta volta nel giro di un anno, la sua casa ha ricevuto la visita dei ladri. Stavolta erano solo in due, incappucciati e armati di spranga e attrezzi da scasso, e non sono riusciti ad entrare. I carabinieri che hanno visionato le immagini delle telecamere, hanno pochi dubbi: anche questa volta dovrebbe trattarsi della solita banda di stranieri, gente probabilmente dell’est, rumeni. Le figlie, due bambine, del mio amico ora hanno una paura tremenda di stare in casa, nella loro casa, nel loro letto della loro casa. Arriva un altro compagno di squadra: ascolta e ci racconta che a suo nipote, proprio la sera prima, un nordafricano ha cercato di rapinarlo dell’i phone in via Budellungo ma che è riuscito in qualche modo a reagire e scappare.
Arrivo a casa amareggiato, con ancora addosso tutto un rancore e una rabbia che anche due ore di palestra non sono riuscite ad attenuare. Saluto le mie figlie (ad entrambe di recente hanno rubato le biciclette davanti a scuola) che stanno per andare a dormire (“papà mi raccomando attacca l’allarme” è la solita raccomandazione che mi fanno tutte le sere) e attacco, ovviamente, l’allarme.
Poi prendo il tablet e apro la pagina di un sito di informazione locale, dove apprendo che il Sindaco Pizzarotti, prima di recarsi in moschea, ha ricordato l’imminente costituzione della imprescindibile “Consulta dei Popoli”.
Insomma, mentre i terribili fatti di questi giorni determinano in modo inequivocabile il fallimento della società multietnica, i nostri amministratori ci imbamboliscono ancora con utopie buoniste e suicide, con la liturgia parolaia di appelli, consulte, comitati, riunioni, sfilate e assemblee. Mentre ci sparano addosso, ci entrano in casa, violano le nostre chiese sempre più vuote e chiuse a chiave, noi ci ingozziamo di balle, diritti, lumini, kebab e sushi; ci indigniamo per una strage e cambiamo profilo di Facebook, poi torniamo nel nostro torpore, continuando a finanziare e mantenere il ripopolamento africano delle nostre sempre più insicure e stravolte città.
Vado quindi a letto, sognando una città e un’Italia migliore, all’altezza della loro storia; auspicando che qualcosa o qualcuno rimetta un po’ in ordine tutto questo caos”.
Priamo Bocchi