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Sfrattati di Via Cagliari: presidio davanti a Unicredit – FOTOGALLERY

“Da Marzo del 2014 un gruppo di famiglie senza casa, precedentemente sfrattate perché rimaste senza lavoro, ha ridato vita a una casa abbandonata di Via Cagliari 33, facendo importanti lavori di ristrutturazione tramite l’autorecupero e trasformando gli uffici in appartamenti, per rendere utile un edificio altrimenti destinato all’abbandono e al limite alla speculazione. L’edificio di Via Cagliari che ha ospitato in passato un’agenzia viaggi del gruppo Parmalat è arrivata, in seguito all’esplosione della grande truffa dell’impero di Tanzi, nelle mani di Unicredit che ha lasciato la casa nell’abbandono salvo ridestarsi ora per chiedere a magistratura e polizia di cacciare gli abitanti per lasciare di nuovo la casa a marcire”.

Così Rete Diritti in Casa motiva il presidio di martedì mattina di fronte alla filiale bancaria Unicredit di via Repubblica, al numero 4. “Unicredit è uno dei colossi bancari non solo italiani ma mondiali”, continua il comunicato della Rete.

“Unicredit, secondo gruppo bancario italiano, responsabile tra l’altro di finanziamenti a progetti di costruzione di armi nucleari e l’import export di materiali militari in aree di guerra oltre ad essere promotore di fondi di investimento che vanno a speculare sui prodotti alimentari di base, contribuendo a diffondere la fame nel mondo, ha lasciato vuota la casa di via Cagliari per circa 10 anni.

Gli abitanti di via Cagliari oggi sotto sgombero sono riusciti, dopo l’iniziale diffidenza, a conquistare la fiducia del vicinato e ad inserirsi molto positivamente nella vita del quartiere. Oggi la banca, con l’arroganza che contraddistingue i potenti, chiede il sequestro dell’immobile con l’unico obiettivo di cacciare gli abitanti. Il sequestro blocca qualsiasi altra operazione sull’immobile che rimane così destinato a rimanere vuoto per anni, mentre le famiglie vengono cacciate per strada perché nei vari incontri con i servizi sociali è stato sempre ribadito che per loro non ci sono soluzioni, che tutti i posti di emergenza sono pieni e che non ci sono case popolari disponibili.

L’atteggiamento del Comune, del Prefetto, della Procura e della Questura è un greve campanello d’allarme per la gestione delle questioni sociali in città: da un lato l’amministrazione cittadina non ha il coraggio di chiedere con forza il blocco degli sfratti pur dichiarandosi favorevole e non richiede la requisizione delle migliaia di alloggi sfitti, dall’altra chi detiene il controllo della forza pubblica asseconda le richieste di speculatori che non hanno alcun bisogno reale concreto rispetto all’immobile occupato, rendendo ancora più grave l’emergenza abitativa in città e trasformando l’emergenza abitativa in una questione di ordine pubblico da reprimere nelle sue manifestazioni rivendicative.

Noi non ci stiamo. Appoggiamo la resistenza delle famiglie, se saranno sgomberate le sosterremo nel fare altre occupazioni. Non si può negare il diritto all’esistenza semplicemente negando la soddisfazioni di bisogni primari quando questo sarebbe materialmente possibile per tutti. Le banche sono le principali responsabili della crisi, l’austerity che tutti i giorni paghiamo sulla nostra pelle è imposta per riequilibrare i conti del sistema finanziario, non certo per garantirci un futuro decente. Le banche ci impongono mutui al limite dell’usura, non ci fanno credito se siamo in difficoltà economica, ci pignorano le abitazioni se, in seguito alle difficoltà economiche imposte dalla crisi, non rispettiamo il pagamento delle rate del mutuo. La riappropriazione degli immobili vuoti, per di più se di proprietà delle banche o di grandi proprietà immobiliari, è pratica moralmente, socialmente e umanamente giusta. Se non lo è dal punto di vista della legge è solo perché la legge la fanno i potenti a loro uso e consumo e per la difesa dei loro privilegi.

Solo l’autorganizzazione di chi è colpito dalla crisi, perde il lavoro, di chi è sotto sfratto o chi subisce pignoramenti o il distacco delle utenze, uniti nella lotta per un’esistenza dignitosa, può fermare questo tentativo di escludere da qualsiasi diritto le fasce sociali più deboli e più colpite dalla crisi”.

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