Si chiama Alessandra Gnok, abbreviazione di un cognome doppio lunghissimo, figlio di un padre svedese e di una madre congolese. Alle spalle nonni ebrei polacchi, “gente perseguitata abituata a fuggire”, spiega lei. Ha gli occhi grigi come il mare d’inverno, la carnagione “cioccolatina” – scrivi così mi dice – parla correntemente sei lingue.
Vive a Parma per destino. Quello stesso cui lei è grata, e per dirgli grazie le sue ferie le trascorre ogni estate come volontaria in un centro di prima accoglienza per profughi e disperati. Dei quali racconta: “non sono tutti uguali. Molti mentono, per essere accolti, altri sono disperati per davvero”. Prima di iniziare chiede solo che venga precisata una cosa: “Io non sono contro l’immigrazione, e credo che i profughi possano e debbano rappresentare un’opportunità, non un problema. Ma sono contro allo sfruttamento degli scafisti, e contro a chi li deruba, inculcandogli di raccontare balle una volta arrivati a terra per ricevere accoglienza“.
Mi spiego meglio. “Scappano tutti da zone povere, senza lavoro, risorse, spesso speranze. Ma sono figli di situazioni diverse. Ma per chiedere asilo, o “motivi umanitari” che a differenza del permesso di soggiorno da lavoro, è una permanenza garantita e quasi imperitura, raccontano di scappare da guerre di religione, da zii che li perseguitano per l’eredità, da violenze familiari, da paesi in guerra”.
Riusciamo a tracciare una “mappa delle fughe”?
“Io posso parlare dei migranti che ho visto io, Eritrei, Somali, Congolesi, Senegalesi, Ruandesi”.
Somalia e Eritrea – “Da li fuggono da carestie, guerre, dittature militari. Una piccola parte è legata a religioni para-islamiche, con le guerre intestine che ne conseguono. Scappano da fame e persecuzioni. Non esiste diritto di voto o libertà di stampa. E sono ex colonie italiane, per questo vengono in Italia, convinti che abbiate un debito morale con loro. Sono i paesi con il più alto tasso di immigrazione clandestina. E sono quelli che raccontano più bugie“.
In che senso? “I perseguitati veri, vengono ammazzati e lasciati nel nulla a marcire. Le donne quando vengono violentate, vengono anche seviziate, poi uccise. Chi riesce a scappare, ruba i soldi per farlo, magari ai familiari, uccidendoli. E una volta in Italia racconta di essere lui il perseguitato, Oppure le donne raccontano di essere state violentate. E’ chi li accompagna a imboccare loro le parole per ottenere un’accoglienza migliore: da carnefici si raccontano vittime”.
Ma lei come lo sa? “Gli scafisti tendenzialmente fungono anche da traduttori per la prima accoglienza. E spesso i migranti stessi, dopo aver mentito chiedono loro se sono stati credibili, ignorando che io capisco la loro lingua. Sia chiaro, sono tutti disperati, non migrano per gioco, sopportano viaggi assurdi solo in cambio della speranza,e una volta qui, vogliono essere sicuri di una vita decente”.
Da Congo, Angola, Zimabwe “spesso cercando di fuggire in Namibia, o in Sudafrica, che sono più ricche. Ma i più fortunati vengono in Italia, tendenzialmente sognando Francia e Inghilterra. La nuova frontiera del desiderio è la Germania, vista come la nuova terra promessa”. In cosa sperano? “Solo poter lavorare e trattenersi lo stipendio per loro è un miracolo. Arrivano da regimi autoritari, tirannici, repressivi, corrotti. Vengono fatte vere e proprie rappresaglie anche contro chi si permette di coltivare il proprio campo, o di lavorare senza fare lo schiavo. Scappano dalla servitù, da autoritarismi e arretratezza medievale, da regimi in cui la polizia è corrotta e votata alla violenza dei governanti. Queste etnie non sono cattive, amano i bambini e portano gratitudine a chi da loro una possibilità”.
Un caso aparte è il Ruanda:“quella è terra di genocidi. Scappano soprattutto le donne, vittime vere di violenze anche da parte di parenti. Familiari si ammazzano e perseguitano tra loro, è una terra macchiata di sangue. Loro andrebbero ovunque, pur di andare via”.
E arrivano in Italia. “L’Italia è un ponte col mondo un luogo di passaggio: loro non bramano fermarsi, poi magari scoprono che c’è accoglienza, che se delinquono l’impunità è quasi garantita, e non se ne vanno. E questo vale per tutti”.
Abbiamo anche altri profughi: vietnamiti, pakistani, indiani. “Non me ne sono mai occupata, ma solitamente sono brave persone, lavoratori”. Tunisini e marocchini “invece arrivano spesso per conto proprio, si organizzano: loro sono attratti dalla ricchezza, anche se frutto di delinquenza. non hanno scrupoli, come molte popolazioni dell’est”.
E i rom? “Loro non sono profughi, sono zingari. Con le loro regole e leggi. Sono un popolo a se, ma credo andrebbe confinato perché rifiutano l’integrazione”.
Ha detto che profughi ne arrivano anche nei paesi del Nord. Come si integrano? “Da noi è diverso, c’è ricchezza, floridità industriale. E governi che da sempre funzionano. Non abbiamo fatto ne subito guerre, nemmeno intestine, non abbiamo criminalità. Welfare e scuola funzionano: tanti ne entrano, tanti vengono sistemati per lavorare, integrati. Fanno lavori modesti, umili, abbiamo fondi a cui attingere per accoglierli e dargli vitto e alloggio. Il problema è un altro, è che in Italia non funziona più nulla. Esistono fondi europei stanziati per i migranti, i soldi dati a loro non vengono sottratti ai cittadini. Ma gli italiani sono talmente incazzati perché va tutto male che non lo capiscono”.
E ne abbiamo forse troppi. “Si, in base a quanti potete integrare. Ci sono alcuni paesi che riescono, anche in Italia (uno è Albissola, Sv, ndr), a farne risorsa per lavori socialmente utili, ma sono casi rari. Il problema è sempre quello: “Capiscono che se raccontano balle, li tenete in Italia. Poi capiscono che se delinquono, la fanno franca. E si dimenticano che cercavano lavoro, o che miravano ad altre nazioni. Ma non voglio generalizzare, non tutti sono uguali”.
Lei ha detto che è a favore dell’immigrazione. “Certo, io credo che chi scappa dalla miseria vada aiutato. Ma integrandolo, non ghettizzandolo. Non c’è posto? Manteniamolo la, creiamo a casa sua strutture che sviluppino pian piano il terzo mondo. Ma è più facile dare loro la colpa di tutto, che cambiare le cose”.
Per chi vota lei? “Io non voto, sono cittadina del mondo, svedese per anagrafe. Avessi potuto scegliere avrei preso quella polacca, grande uomo mio nonno. Potessi votare forse sceglierei la Bonino. Mi piaceva Pannella, poi ha esagerato. A volte Vendola, ma eccede. Berlusconi è un genio, ma deve occuparsi di comunicazione, non di politica. Renzi forse è in gamba, ma si è votato da solo”.
C’è qualcosa che la spaventa? “Le guerre di religione, il populismo e il propagandismo gratuito, la Chiesa. L’Isis. Salvini. La mentalità che avete voi italiani”. Ovvero? “Prima beatificate uno, poi lo mandate in esilio, o lo accusate di essere sceso ad accordi con la Mafia, come non sapeste che era necessario. E che senza Mafia la Sicilia starebbe peggio, la Mafia è come Gorbaciov: da da mangiare poco, quando e quello che vuole. Ma senza di lei forse da quelle parti non mangerebbero, ad oggi”. Salvini? “Lui è come il Papa, parla per piacere, per raccogliere seguaci. Ma ha la malattia più grave del mondo di oggi: l’ignoranza. E’ pericoloso perché fa leva sullo scontento. E pensare che il Federalismo mi piacerebbe: ma come autonomia regionale e sviluppo seguito dall’alto, non come abbandono fine a se stesso di chi gli sta sulle palle”. L‘Isis? “Sono pazzi, invasati. Hanno perso anche il loro stesso ideale, non hanno rispetto di nulla. Potrebbero distruggere tutto ciò che la civiltà ha creato”.
Bene, la Chiesa? “Libera Chiesa in Libero Stato. Lo stato non può essere libero, se ha il Vaticano che sovrintende. Non esiste la religione di stato, ma le moschee le costruiamo nei ghetti. Ognuno deve essere libero di credere e professare ciò che vuole, purché la sua libertà finisca dove iniziano la mia. E la giustizia”.
Lei in cosa crede? “In un mondo migliore. E combatto a modo mio, lavorando, costruendo. Un giorno vorrei dei figli, per insegnargli a essere onesti, lavoratori e darne a chi è meno fortunato di noi. Se tutti facessero come me tra due secoli avremmo già un mondo migliore”.
(Francesca Devincenzi)