Fino a qualche decennio fa, nella nostra percezione di cittadini di una media città emiliana, la parola mafia coincideva con un altrove che rimaneva all’orizzonte. La parola indicava un indistinto fenomeno criminale, noto solo nelle sue dinamiche attraverso le cronache dei delitti più efferati e il fenomeno era inteso sostanzialmente come problema di ordine pubblico e come tale risolvibile mediante una buona attività investigativa e di repressione.
All’indomani della crisi, a partire dal 2008 anche a Parma ci si rende conto che le cose non stanno proprio così. In quegli anni nella nostra provincia assistiamo a fatti piuttosto inquietanti, dall’incendio di alcuni escavatori sulla Pontremolese all’esecuzione a Medesano di Raffaele Guarino nel 2010.
L’inchiesta Aemilia apre oggi uno squarcio enorme: Michele Bolognino viene indicato nella inchiesta come il referente della ‘ndrangheta in terra parmigiana. Possessore a conti fatti di un patrimonio tra i 15 e i 20 milioni di euro. Ed oggi la notizia che vi sarebbero circa 4000 “affiliati” sul nostro territorio rende ancora più indispensabile un impegno netto di contrasto che sia supportato da finanziamenti adeguati.
Un investimento dal profitto certo in termini etici ed economici, se solo potessimo contare sul recupero della evasione derivante dai traffici criminali. La CGIL ha sempre denunciato i rischi connessi alla progressiva destrutturazione del mondo del lavoro. Un mondo strutturato con un suo codice, le sue regole, le maglie strette che consentivano di esercitare un controllo sulle applicazione della legge in materia di lavoro, di fiscalità, di previdenza viene progressivamente smantellato fino ad arrivare alla frammentazione attuale, nella quale i controlli sono sempre più complessi. Complessi per le semplificazioni del codice degli appalti di lavori e servizi, per la mancata applicazione dell’erga omnes dei contratti, per il proliferare di cooperative spurie che lucrano su appalti e manodopera e dei fenomeni di corruzione nella “cosa pubblica”.
La CGIL da sempre sostiene che la crisi e la forte disoccupazione alimentano il mercato dell’offerta ricattabile. Lo spazio lasciato per larga parte vuoto da politiche di riconversione, specie nei settori più esposti, è stato infiltrato dal caporalato e dal lavoro irregolare, mentre la mancanza di liquidità delle imprese è diventata l’occasione per le attività criminali di stampo mafioso di pervadere il tessuto economico. Rispetto a questo scenario la CGIL ha sempre reagito, denunciando e facendosi promotrice di campagne di sensibilizzazione a partire dalla Campagna Io Riattivo il Lavoro fino all’ultima raccolta di firme per una Legge sugli Appalti, conclusasi con la raccolta di circa 46.000 firme e che è stata l’occasione per parlare con le lavoratrici ed i lavoratori nei luoghi di lavoro di mafie e criminalità e di scoprire quanto ancora ci sia da fare e da mettere in campo perché la lotta contro questi fenomeni diventi prassi comune come l’esercizio di un diritto. Diritto a vivere in una società di non ricattabili. Ed è per questo che questa lotta si sposa con le lotte per il lavoro equo e regolare.
I lavoratori diventano, se consapevoli, il primo presidio contro le mafie ed i sindacalisti insieme a loro. Il cancro che si insinua nel mondo del lavoro, stremato da anni di crisi e stagnazione, va combattuto sul campo ed i sindacalisti insieme ai lavoratori devono essere in modo consapevole su questo fronte. Ci siamo detti tante volte che la mafia trova il suo argine nella cultura, che accettarne o non accettarne le regole dipende dal grado di emancipazione culturale di un territorio.
Ma l’emancipazione non si auto genera, occorrono gli strumenti, occorre andare a scuola, imparare a riconoscere gli elementi di un contesto, sezionarlo, distinguere, operare chirurgicamente per asportare la malattia lasciando il corpo vivo. Libera e le associazioni che la compongono, compresa la CGIL, da molto tempo stanno percorrendo questa strada di avvicinamento dei giovani alla consapevolezza che il futuro è per loro e deve essere un futuro pulito. Che fare, dunque? Perché un minuto dopo aver preso atto di una anomalia occorre avere chiaro il percorso da intraprendere ed il fatto che tale iter sia efficace solo se attivato assieme alle istituzioni preposte al controllo del territorio in una sinergia a servizio della legalità e della regolarità. Cominciamo con la attivazione dei protocolli firmati a livello provinciale (appalti di lavori e servizi; protocollo con la polizia municipale per il controllo sui cantieri edili), e dalla loro diffusione. Quanti li conoscono? Quanti lavoratori e cittadini ne sono a conoscenza? I protocolli sono una rete importante se vengono socializzati perché danno risposte di procedura, definiscono ambiti e competenze, una griglia sulla quale un sindacalista, un lavoratore, un cittadino può cominciare ad orientare il suo agire. Cominciamo a considerare la “regolarità” quale una materia ordinaria di formazione ed informazione nelle scuole e nei luoghi di lavoro.
Intensifichiamo i presidi di prevenzione sul territorio. Lo sportello della Camera del Lavoro e della FILT presso il Cepim di Fontevivo recentemente inaugurato ed attivo ne è un esempio. Il mondo del lavoro è fatto in maggioranza da gente pulita, spesso ignara di quanto vi sia dietro operazioni apparentemente lecite e che mettono a rischio in primis il loro lavoro. Solo attraverso la una sensibilità all’allarme che deriva da una comunicazione tra lavoratori e sindacato e tra rappresentanze sindacali e istituzioni sul territorio è possibile arginare l’estendersi di questi fenomeni. Solo quando questa sensibilità tornerà ad essere agire collettivo sarà possibile una inversione di rotta”.