In città il corteo per le celebrazioni del 70° della Liberazione muove seguendo il tradizionale percorso per giungere in piazza Garibaldi, dove le autorità hanno tenuto i discorsi ufficiali. Tra il fiume di persone che hanno partecipato, partendo da barriera d’Azeglio intorno alle 10,15, anche lo spezzone del 25 aprile di ‘Oltretorrente Libero e Solidale’.
Deviando dal corteo, attivisti, studenti e famiglie sfrattate per morosità incolpevole sono andati ad occupare le residenza San’Ilario di Borgo Bosazza 13. L’edificio del demanio pubblico, concesso all’Università di Parma, è stato gestito fino al 20 dicembre 2014 dalla fondazione Falciola. “Una gestione fallimentare – secondo le persone che sabato mattina sono entrate e hanno occupato la residenza – da parte di una fondazione affiliata alla Compagnia delle Opere, per 51mila euro annuali. Si pagavano 50 euro a notte per una doppia e 60 euro per una singola sino allo scorso 20 dicembre. Da allora la struttura è inutilizzata”.
In tutto 23 posti letto, già occupati da famiglie sfrattate e studenti. Altri edifici nello stesso borgo, al civico 22 e 6, erano stati occupati da persone rimaste senza casa con il supporto della Rete Diritti in Casa e di altri movimenti della città. La residenza, in ottimo stato – stanze, cucine e sale sono praticamente nuove – risulta essere contigua ad Art Lab di borgo Tanzi tramite il cortile esterno.
Un progetto dell’Ateneo, maturato all’interno del più ampio ‘Master Campus’, prevedrebbe di ampliare la residenza, da destinare ad uso foresteria, proprio allargando il perimetro ad Art Lab in borgo Tanzi. “Si continuerebbe con lo spreco di denaro pubblico – sostengono gli attivisti – nonostante la struttura sia già stata abbandonata proprio perché non veniva mai riempita. In questo luogo noi pensiamo di dar vita ad un progetto aperto alla discussione democratica, alloggi per precari, studenti e famiglie in difficoltà e un centro servizi per il quartiere Oltretorrente”.
Di seguito il comunicato degli occupanti, da ‘Anomalia Parma’:
“Oggi, 25 Aprile 2015 ricorre il 70° anniversario della liberazione, oggi abbiamo liberato un nuovo spazio.
Per noi non si tratta soltanto di una ricorrenza poiché cerchiamo di renderla pratica quotidiana attraverso diverse forme di resistenza.
Resistenza fatta di lotta al sessismo, al razzismo, al fascismo, di opposizione agli sfratti, di solidarietà e collaborazione; resistenza che assume un’importanza particolare in un momento storico nel quale troppi sono i diritti che ci vediamo sottrarre costantemente.
Erosione dei legami sociali; concatenazione di luoghi anonimi dispersi e privi di confini riconoscibili; declino degli spazi pubblici, considerati territori pericolosi da disertare. Tutto ciò ha riempito il nostro quartiere di luoghi in cui gli individui sono consegnati all’isolamento, all’auto reclusione e al reciproco controllo nel momento in cui l’organizzazione dello spazio e della vita quotidiana rompe i legami sociali e le forme di solidarietà.
Ne è diretta conseguenza la richiesta di maggior sicurezza, incentrata proprio sull’idea di rendere la vita urbana ancora più sterile e anonima.
È ovvio che strade che vivono solo in funzione delle merci e che si svuotano nel momento in cui il ciclo produttivo della giornata s’interrompe, diventano inospitali e “pericolose”, perché non ospitano più relazioni sociali consolidate.
Decenni di organizzazione della solitudine e dell’alienazione hanno prodotto l’odierna cultura della paura.
Siamo convinti che l’attuale organizzazione delle città sia disgregante per i cittadini che li abitano, respingente per i rifugiati che vi approdano dopo essere sfuggiti alle guerre e alla fame, di cui i nostri stessi governi sono concausa, e subordinate a quei poteri che da anni stanno portando avanti progetti di privatizzazione, limitazione dei servizi pubblici e svendita del patrimonio pubblico proprio in un momento di crisi in cui dovrebbe essere messo a frutto per la collettività e le potenzialità delle fasce più deboli.
Diretta conseguenza di questa gestione delle città, orientata al mero guadagno all’insegna della frenetica cementificazione e completamente avulsa dai bisogni di una società sempre più in crisi si traduce nella ormai dilagante emergenza abitativa. Emergenza che conta nella nostra città, come nel resto d’Italia, numeri da capogiro, nel solo 2014 gli sfratti ordinati dal tribunale di Parma sono stati 740. A questi, ormai in fase avanzata, vanno aggiunte le situazioni di effettiva morosità ancora non “certificate” da una sentenza. La situazione non sembra migliorare con il nuovo anno, solo grazie alla Rete Diritti in Casa dal 1°gennaio ad oggi gli sfratti rinviati sono 46.
Nel paradossale sistema incentrato sul paradigma “produci-consuma” le persone senza casa convivono con palazzi vuoti. Un esempio è la Residenza Sant’Ilario : una struttura pubblica che l’Università degli Studi di Parma ha dato in mano alla Fondazione Falciola, legata a Compagnia delle Opere (braccio economico di Comunione e Liberazione) destinandola, di fatto, ad una gestione fallimentare fatta di spreco di denaro pubblico e permettendo che venisse resa a tutti gli effetti una struttura alberghiera più che un alloggio per studenti (50€ al giorno per una doppia e 60€ per una singola), struttura inutilizzata dal 20 Dicembre 2014 dopo meno di due anni dall’apertura.
Come possiamo rimanere in silenzio davanti al progetto di ampliamento di tale struttura?
Non solo in termini di metratura ma soprattutto nella riproposizione di un modello sbagliato di utilizzo di luoghi destinati alla collettività per consegnarli nuovamente allo sfruttamento col solo scopo di lucro. Come si può pensare di investire in progetti di questo tipo, decidendo di seguire gli interessi dei gruppi di costruttori invece che le attitudini e le necessità di chi vive la città e i quartieri?
Nonostante tutto questo anche nei nostri disperati e disperanti quartieri ci sono manifestazioni significative della forza di opposizione alla rassegnazione. Nonostante la necessità di annullare lo “spazio”, non possono di fatto materialmente riuscirci del tutto e nello scarto prodotto dal contrasto tra questa volontà e la realtà fisica si aprono spazi imprevisti che offrono alle persone possibilità di affermare nuove forme di vita, di liberare e vivere diversamente dei luoghi, creare delle possibilità.
La nostra esperienza è partita dal bisogno abitativo coniugato con la necessità condivisa di una riqualificazione urbana e sociale della città. Riteniamo che l’unico modo “sano” per far fronte all’emergenza abitativa sia il riutilizzo e il recupero di edifici pubblici in stato di abbandono o privatizzati a scopo di lucro, spesso situati in zone centrali della città, attraverso il coinvolgimento attivo degli abitanti per fini abitativi e sociali così da restituire alla città spazi aperti e fruibili come punto d’incontro e scambio di soggetti, iniziative e culture diverse.
È un mutamento profondo di prospettiva: una visione del modello sociale ispirata a principi di giustizia, democrazia reale, redistribuzione equa delle risorse, cooperazione e mutuo aiuto.
È una risposta concreta alla crisi economica e al default della democrazia rappresentativa: stiamo provando a costruire un’alternativa, a liberare e mettere in comune energie per una vita degna. Per dare potenza al “noi” e superare l’individualismo e la competizione che hanno segnato gli ultimi decenni del nostro paese.
Vogliamo che tutto questo si contrapponga in maniera costruttiva alle politiche predatorie che, attraverso le cosiddette “grandi opere” di cemento ed eco-marketing (TiBre, F.I.Co., Expo, TAV, Master Town etc.), si impongono sui nostri territori, vicini e lontani, coprendo le solite logiche di mercato devastatrici sotto la nuova veste dell’etica ambientale.
Vogliamo una città che non lasci i cancelli chiusi e gli edifici in balia di topi e ragnatele, mentre le persone sono in mezzo alla strada.
Abbiamo deciso di fare l’ennesima scommessa, di sperimentare nuove forme di socialità, di formazione e di sapere. Insieme abbiamo la capacità di invertire la rotta, di costruire un’effettiva partecipazione ai processi democratici e contrastare l’ormai dilagante guerra tra poveri.
Partendo da un luogo simbolico vogliamo collaborare in sinergia per la progettazione di un quartiere rinnovato e innovativo, pensato e costruito dal basso, dai cittadini stessi, che facendo leva sulle proprie forze e capacità, si occuperanno di ripensare il territorio e trasformarlo. I nuovi progetti si svilupperanno in rete con gli altri, verso un obiettivo comune, mettendo a disposizione di tutti i propri saperi e le proprie competenze in una comunità di persone che si arricchisce reciprocamente. Ogni progettualità darà nuova vitalità al quartiere, migliorando le condizioni di vita, la formazione professionale e l’inclusione sociale. Lavoreremo affinché il quartiere diventi un modello da imitare per la gestione, la riqualificazione e la creazione di nuove “economie” sostenibili. Quello che promuoviamo dunque è una nuova organizzazione puntando su una rete autogestita di spazi di coworking che stimoli la creazione di alternative grazie alle quali sottrarsi allo sfruttamento, in tutte le sue forme, e poter organizzare e creare un’alternativa veramente degna. Un modello da esportare nelle altre numerose zone della città, dove spesso la mano pubblica stenta a comprendere le complessità e le integrazioni tra le azioni che possono garantire veramente una ricomposizione tra tutti quei soggetti che la società ha diviso, separato e allontanato, bloccandone una qualsiasi forma di comunicazione.
Sostituiamo il mutuo aiuto,l’attività sociale, politica e culturale alla speculazione edilizia!
Per tutti questi motivi vi invitiamo a partecipare numerosi all’ ASSEMBLEA PUBBLICA delle 18 COSTRUIAMO INSIEME L’OLTRETORRENTE LIBERO E SOLIDALE”!