In attesa dell’udienza fallimentare di Eventi Sportivi Spa prevista per questa (martedì) mattina, spulciando nel web scopriamo che, per chi ha prestato attenzione, la crisi del Parma era già palese e prevedibile.
Per lo meno dal 2009. Lo spiega www.calcioefinanza.it, in un pezzo del 21 febbraio 2015 dal titolo “nei numeri della holding Eventi Sportivi le ragioni del dissesto del Parma”.
Eccolo:
Si scrive Eventi Sportivi ma si legge Parma FC Holding. La società con sede a Brescia, che fino allo scorso dicembre era controllata da Tommaso Ghirardi e dalla sua famiglia, non è solo la holding di controllo del Parma Football Club, di cui detiene il 90% del capitale, ma ne è la vera e propria capogruppo.
Eventi Sportivi, il cui pacchetto di maggioranza è passato prima alla cipriota Dastraso Holding di Rezart Taci e successivamente alla slovena Mapi Group di Giampietro Manenti, redige infatti un bilancio consolidato che è a tutti gli effetti il bilancio del Gruppo Parma FC. Un bilancio dalla cui analisi si possono comprendere molte più cose sull’attuale momento di difficoltà del club crociato rispetto alla semplice lettura dei conti della sola società di calcio.
Sarebbe bastato leggere la relazione della società di revisione al bilancio consolidato della Eventi Sportivi al 30 giugno 2009 per accorgersi che già allora c’era qualcosa che non andava nei conti del club.
“L’analisi del piano economico finanziario per il successivo esercizio 2009/2010 della controllata Parma FC evidenzia una previsione di perdita rilevante ed una notevole tensione finanziaria, in conseguenza di investimenti già effettuati sul parco giocatori; elementi che secondo gli amministratori, in assenza di specifiche operazioni, non consentirebbero alla controllata di assicurare il regolare adempimento delle obbligazioni sociali fino al termine della stagione sportiva 2009/2010″
Così evidenziavano già allora i revisori della PriceWaterhouse Coopers, citando quanto scritto dagli amministratori nella relazione sulla gestione. Una formula di rito ripetuta come un mantra, ma nell’indifferenza più totale, in ogni bilancio successivo, compreso quello al 30 giugno 2014 da poco approvato.
Insomma, bilanci alla mano, già dalla stagione 2009/2010, quella del ritorno in Serie A e della decisione di Ghirardi di affidarsi a Pietro Leonardi, prima come direttore generale e poi come amministratore delegato, veniva spiegato chiaramente come il Parma non era in grado, a detta dei suoi stessi amministratori e dei revisori dei conti, di generare attraverso la gestione ordinaria un flusso di cassa sufficiente per fare fronte ai propri impegni e che pertanto per fare fronte alle scadenze (es, pagamento di dipendenti, fornitori, ecc.) il club avrebbe dovuto fare ricorso ad altre fonti di finanziamento: 1) soldi messi a disposizione dalla proprietà sottoforma di capitale o anticipazioni di cassa; 2) contrarre debiti nei confronti di altri soggetti (banche, fornitori, fisco, ecc.); 3) cedere asset, ovvero calciatori, cercando di fare plusvalenze (importanti dal punto di vista contabile) e cassa (fondamentale per il buon funzionamento della società).
E così è stato fino ad arrivare al punto di rottura e all’uscita di scena di Ghirardi. Vediamo perché mettendo in fila i bilanci consolidati della Eventi Sportivi dal 2007/08 al 2013/14. Sette anni che il tanto criticato Manenti, che ora si trova a gestire la difficile eredità lasciatagli dai suoi predecessori, non ha esistato a definire di “cattiva gestione“.
Dal 2008 al 2014, limitando l’analisi alla gestione caratteristica e senza tenere conto del calciomercato (quindi di quanto speso per l’acquisto di nuovi giocatori e quanto incassato con le cessioni), nelle casse del Gruppo Parma sono entrati circa 281,37 milioni, cui hanno fatto fronte uscite per circa 388,59 milioni, con un saldo negativo nei sette anni di circa 107,22 milioni.
Nella tabella seguente mostriamo il saldo tra flussi monetari in entrata e in uscita per ciascun esercizio considerato, da cui risulta in modo chiaro le difficoltà del club ad autofinanziarsi la sola gestione ordinaria.
Per trovare le risorse necessarie a fare fronte agli impegni del club Ghirardi e Leonardi potevano dunque agire sulle 3 leve sopra evidenziate (cessioni di giocatori, chiedere risorse agli azionisti, fare ricorso al debito).
Almeno apparentemente tutte e tre le leve sono state azionate. E’ notorio infatti che nel periodo considerato il Parma sia stato uno dei protagonisti del calciomercato con 996 giocatori trattati in entrate e in uscita dal 2007/08 al 2013/14 (395 solo nell’ultima stagione secondo i dati di Transfermarkt).
Ma se questa vorticosa attività di trading, grazie alle plusvalenze generate, ha avuto un impatto positivo sui bilanci del Parma dal punto di vista contabile (le plusvalenze impattano infatti positivamente sul conto economico), dal punto di vista della generazione di cassa non è stata sufficiente a compensare lo sbilancio tra entrate e uscite della gestione corrente.
Anche per questo negli ultimi anni Ghirardi e la sua famiglia sono stati costretti ad aprire il portafoglio girando alla Eventi Sportivi circa 12,32 milioni milioni di euro al termine della stagione 2011/12. Ma queste risorse non sono arrivate nelle casse del club come capitale di rischio ma bensì come debito. Tra i creditori del gruppo Parma al 30 giugno 2014 figurava infatti lo stesso Ghirardi per circa 11,64 milioni.
La leva maggiormente azionato per recuperare la liquidità necessaria a fare andare avanti il club in questi anni è stata invece quella del debito verso terzi. Non tanto a quello nei confronti delle banche e delle società di factoring, che è stato utilizzato per farsi anticipare i proventi dei diritti tv e delgli accordi commerciali, quanto a quello nei confronti dei fornitori e del fisco.
Nel tempo quest’ultima voce di bilancio, come si può notare nella seguente tabella, è cresciuta in modo costante arrivando alla cifra di 42 milioni di euro al 30 giugno 2014.
La crescita del debito è stata accompagnata da una parallela crescita del valore dell’attivo, e in particolare dei diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori (i cartellini) in virtù di una politica di player trading (calciomercato) aggressiva. Il vero problema per i conti del Parma e per la sua stessa continuità aziendale e che mentre il valore dei debiti è pressoché certo, quello dell’attivo, specie se rappresentato da calciatori, è per sua natura meno certo. Ecco perché senza qualcuno che riesca a fornire al Parma in tempi brevi la liquidità necessaria ad onorare i propri impegni il destino del club sembra segnato.