Nella maxi operazione contro la ‘ndrangheta, con oltre 160 arresti dei carabinieri all’alba, nel Parmense è stato arrestato il boss Michele Bolognino. E’ considerato il referente della ‘ndrangheta in provincia di Parma. Giovanni Bernini risulta indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Indagato anche l’imprenditore edile Francesco Falbo.
LE MANI DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA SULLE URNE. Dall’operazione “Aemilia” emergono riscontri di attività di supporto e tentativi di influenzare elezioni amministrative da parte degli affiliati al gruppo criminale in vari comuni fra Parmense e Reggiano. Lo ha spiegato il procuratore Roberto Alfonso, nella conferenza stampa a Bologna, che ha parlato di “segnali di inquinamento” citando i casi di Salsomaggiore nel 2006, Parma nel 2007 (in relazione al caso Bernini), Brescello nel 2009 e Sala Baganza nel 2011.
SEQUESTRATO COMPLESSO IMMOBILIARE A SORBOLO. Il procuratore rivela che è stato posto sotto sequestro un complesso immobiliare a Sorbolo, composto da 250 appartamenti, che si trova tra via Genova e via Trieste. La richiesta di sequestro, approvata dal gip, è firmata dai pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi. Proprio la pm Ronchi, che aveva lavorato per diversi anni a Reggio Calabria, occupandosi di indagini sotto la guida dell’attuale procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, collaborerà con il pm Enrico Cieri al proseguo dell’inchiesta e ai processi. L’indagine “Aemilia” è stata coordinata dal procuratore della Repubblica Roberto Alfonso e fin dal suo nascere, nel 2010, era stata condotta dal pm Marco Mescolini e dal sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi, applicato per due anni, dal 2011 al 2013, alla Dda di Bologna. «E’ un magistrato con un’esperienza ultraventennale nel contrasto alla ‘ndrangheta, ha offerto un contributo prezioso», ha detto di lui Alfonso.
REGGIO EMILIA: IN MANETTE ANCHE UN POLITICO DI FORZA ITALIA E IL PADRE DEL CALCIATORE IAQUINTA.
Tra le persone coinvolte nell’inchiesta della Dda di Bologna ci sono imprenditori, professionisti, amministratori pubblici, rappresentanti delle forze dell’ordine e anche un giornalista. Lo ha spiegato in conferenza stampa il procuratore di Bologna, Roberto Alfonso.
Il giornalista è Marco Gibertini, raggiunto da misura di custodia cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa, il quale «metteva a disposizione del sodalizio i suoi rapporti con i politici – ha spiegato Alfonso – con l’imprenditoria e con il mondo della stampa», con interviste in tv e su un quotidiano.
Fra gli arrestati c’è il capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale a Reggio Emilia, Giuseppe Pagliani: i carabinieri lo hanno da poco prelevato dalla sua abitazione di Arceto, frazione di Scandiano. Pagliani è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Ci sono anche importanti imprenditori del settore edile coinvolti nell’indagine “Aemilia”, fra cui Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore Vincenzo, arrestato nel Reggiano, e Augusto Bianchini che ha partecipato agli appalti per la ricostruzione post terremoto in Emilia, residente nel Modenese.
FRA GLI INDAGATI, UN EX AUTISTA DEL QUESTORE DI REGGIO EMILIA. Tra gli indagati nell’inchiesta Aemilia della Dda di Bologna c’è anche Domenico Mesiano, già autista del Questore di Reggio Emilia. Mesiano risponde di associazione mafiosa e minacce. E’ lui che avrebbe fatto pressioni sulla giornalista Sabrina Pignedoli, della redazione reggiana del Resto del Carlino, per non pubblicare notizie sulla famiglia di Antonio Muto, il cui nome emerge nell’inchiesta.
NICOLINO SARCONE FRA GLI ARRESTATI. La maggior parte degli arresti, eseguiti su misura cautelare richiesta dal sostituto procuratore della Dda di Bologna Marco Mescolini e firmata dal gip Alberto Ziroldi, sono stati eseguiti nella provincia di Reggio Emilia, dove è presente la cosca Grande Aracri, della ‘ndrangheta di Cutro (Catanzaro).
Tra le persone finite in manette figurano diversi imprenditori calabresi, alcuni già noti alle forze dell’ordine, tra cui Nicolino Sarcone, considerato anche da indagini precedenti il reggente della cosca su Reggio Emilia. Sarcone, già condannato in primo grado per associazione mafiosa, è stato recentemente destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale che gli aveva bloccato beni per 5 milioni di euro.
Il comandante provinciale di Reggio Emilia, colonnello Paolo Zito, presente durante il blitz, ha detto che l’operazione è ancora in corso, rimandando i dettagli alla conferenza stampa a Bologna.
CUTRO PUNTO DI RIFERIMENTO DELLE COSCHE. Il «locale» di ‘ndrangheta di Cutro (Crotone) stava diventando il punto di riferimento delle cosche del crotonese ed il suo presunto capo, Nicolino Grande Aracri, aveva intenzione di costituire una grande provincia in autonomia a quella reggina. E’ quanto emerge dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro che ha portato all’esecuzione di 37 fermi in varie regioni e che si inserisce nella più vasta operazione dei carabinieri, coordinata anche dalle Procure distrettuali di Bologna e Brescia, sulle infiltrazioni delle cosche in Emilia-Romagna, dove era operativa una cellula della ‘ndrina crotonese.
«Si tratta – ha spiegato il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo – di una operazione importante perché evidenzia il ruolo che stava assumendo Cutro e che non aveva mai avuto».
A parlare delle intenzioni di Grande Aracri di costituire una grande provincia di ‘ndrangheta è un collaboratore di giustizia, Giuseppe Giampà, ritenuto un boss della ‘ndrangheta del lametino.
Dalle indagini è emerso anche come la cosca di Nicolino Grande Aracri, almeno sino al momento del suo arresto, avvenuto nel 2013 per una tentata estorsione ad un villaggio turistico, stesse assumendo il ruolo, essenzialmente, di punto di riferimento delle cosche di tutto il distretto giudiziario di Catanzaro – che comprende anche le province di Crotone, Cosenza e Vibo Valentia – ma con contatti anche con cosche del reggino. “Grande Aracri – ha detto Lombardo – si atteggia a capo di una struttura al di sopra dei singoli locali. E’ sostanzialmente il punto di riferimento anche delle cosche calabresi saldamente insediate in Emilia Romagna dove c’era una cellula dotata di autonomia operativa nei reati fine. I collegamenti tra Emilia-Romagna e Calabria erano comunque continui e costanti e non si faceva niente senza che Grande Aracri lo sapesse e desse il consenso».
Nel suo ruolo di «direzione», secondo quanto emerso dalle indagini, Nicolino Grande Aracri avrebbe avuto la collaborazione dei suoi fratelli, Domenico ed Ernesto, di fatto suoi emissari.
Il comunicato della Legione Carabinieri Emilia Romagna – Dalle prime ore della mattinata, i Carabinieri del Comando Provinciale di Modena, unitamente a quelli di Parma, Piacenza e Reggio Emilia, stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Bologna, su richiesta della locale DDA, nei confronti di 117 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, reimpiego di capitali di illecita provenienza, riciclaggio, usura, emissione di fatture per operazioni inesistenti, trasferimento fraudolento di valori, porto e detenzione illegali di armi da fuoco, danneggiamento e altri reati, aggravati dal metodo mafioso e – in taluni casi – della transnazionalità del reato per aver agito in più di uno Stato e precisamente in Italia, Austria, Repubblica di San Marino e Germania, territori di espressione dell’attività dell’associazione stessa.
I provvedimenti scaturiscono da un’articolata attività investigativa, coordinata dal Procuratore Capo Roberto Alfonso e dal Sostituto Marco Mescolini, sviluppata su più fronti dai predetti Reparti dell’Arma emiliana e successivamente collegata, d’intesa con le rispettive Autorità Giudiziarie, a convergenti inchieste condotte in Calabria e in Lombardia. Gli esiti dell’indagine hanno consentito di delineare il quadro complessivo degli assetti organizzativi della cosca “GRANDE ARACRI”, radicata a Cutro (KR) e con estese propaggini extraregionali in Emilia Romagna e in Lombardia, tutte subordinate al boss detenuto Nicolino GRANDE ARACRI e dotate di ampia autonomia nel perseguimento dei diversificati interessi illeciti.
Le indagini hanno comprovato la capacità della consorteria di attuare una pervasiva infiltrazione del tessuto economico e imprenditoriale nei settori dell’edilizia, dei trasporti, del movimento terra e dello smaltimento dei rifiuti, tanto nel territorio d’origine, quanto nelle aree di proiezione, mediante una sistematica pressione estorsiva esercitata nei confronti di imprenditori locali e finalizzata a imporre, nella fase di esecuzione delle opere, la scelta di subappaltatori e fornitori fra quelli di riferimento dell’organizzazione criminale.
In particolare, le investigazioni hanno messo in luce gli interessi del sodalizio nei lavori collegati alla realizzazione di rilevanti interventi di riedificazione a seguito del terremoto che ha interessato l’Emilia Romagna nel 2012, ai quali le ditte mafiose hanno avuto accesso anche grazie alle cointeressenze mantenute con i titolari di un’importante azienda edile modenese assegnataria di appalti pubblici per lo smaltimento delle macerie.
Dall’inchiesta è emerso, inoltre, come i proventi illeciti delle articolazioni emiliane venivano in parte trasferiti alla cosca crotonese, mediante il metodico ricorso alla falsa fatturazione per operazioni inesistenti attuata dalle società calabresi riconducibili ai “GRANDE ARACRI”, e in parte reimpiegati in loco nell’erogazione di prestiti a tassi usurari in pregiudizio di imprenditori e nell’avvio di considerevoli iniziative immobiliari intestate a prestanome nelle province di Mantova e Parma.
Tra le attività criminali svolte dall’organizzazione, anche la ricettazione di imbarcazioni di lusso del valore di svariati milioni di euro, oggetto di appropriazione indebita commessa in Italia e reimmesse nei mercati nautici di Turchia e Croazia.
Le indagini hanno altresì appurato il tentativo dell’organizzazione di evitare le verifiche antimafia della Prefettura di Reggio Emilia e di influenzarne gli orientamenti, anche attraverso una serie di iniziative mediatiche promosse da un Consigliere di minoranza della Provincia reggiana, destinatario dell’ordinanza in esame con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Contemporaneamente, i militari dei Comandi Provinciali di Crotone e Mantova stanno eseguendo, nelle rispettive province e in quelle di Cremona e Verona, decreti di fermo di indiziato di delitto emessi dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Catanzaro e Brescia nei confronti di 46 soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, dei medesimi reati, mentre ulteriori 4 ordinanze di custodia cautelare sono in corso di esecuzione dal personale della Guardia di Finanza di Cremona nei confronti di altrettanti soggetti.
E’ inoltre in corso di esecuzione un’imponente sequestro beni disposto dal GIP presso il Tribunale di Bologna su richiesta della locale DDA per un valore complessivo di oltre 100 milioni di euro.