Combattere l’evasione fiscale significa anche ridurre quella parte che prevede un avallo da parte del compratore. A un ampio insieme di deduzioni e detrazioni fiscali andrebbe perciò affiancata una imposta sui prelievi da conto corrente. Una redistribuzione dagli evasori agli onesti.
INCENTIVI CONTRO L’EVASIONE
120 euro oppure 100 senza ricevuta e in contanti? Quante volte ci siamo visti rivolgere questa domanda al momento di pagare il medico, l’avvocato, l’idraulico o l’elettricista? Buona parte dell’evasione fiscale italiana esiste perché troppo spesso la risposta è: “100 senza ricevuta”. L’assenza di ricevuta, infatti, rende più difficile l’accertamento dei redditi e del valore aggiunto realizzato, rendendo più facile evadere. Non sorprende quindi che molti professionisti e commercianti siano disposti a offrire uno sconto consistente per non emettere ricevuta.
Come fare per ridurre questo tipo di evasione che noi definiamo “collaborativa”, dal momento che prevede un avallo da parte del compratore? Chiaramente se tutti si rendessero conto dei benefici di lungo periodo della richiesta della ricevuta, tra cui l’aumento del gettito e la conseguente riduzione futura della pressione fiscale, il problema sarebbe facilmente risolto. Ma questi benefici sono incerti e, comunque, differiti nel tempo, mentre lo sconto offerto dal potenziale evasore è certo e immediato.
Una soluzione per ridurre l’evasione però c’è: incentivare la richiesta della ricevuta attraverso un insieme molto ampio di deduzioni e detrazioni fiscali, e, contemporaneamente, scoraggiare l’uso del contante attraverso una imposta sui prelievi da conto corrente.
Lo sgravio fiscale, ottenibile con la presentazione della ricevuta della transazione in sede di dichiarazione dei redditi, è solo un’estensione del sistema già previsto nel nostro ordinamento fiscale per le spese mediche, per le ristrutturazioni edilizie (temporaneamente) e altro.
L’imposta sui prelievi è invece un elemento nuovo, che vale la pena approfondire.
Innanzitutto, l’imposta dovrebbe essere applicata su tutti i prelievi da sportelli bancari o bancomat e addebitata direttamente dalla banca sul conto corrente nel momento in cui viene effettuato il prelievo.
Dal momento che l’uso del contante nelle transazioni diventerà più costoso per i consumatori, ci saranno meno pagamenti in contanti e più pagamenti con strumenti tracciabili come carte di debito, carte di credito e bonifici. Dato che è molto difficile evadere le tasse se i pagamenti sono tracciabili, ci sarà anche meno evasione.
La riduzione dell’evasione determinerà ragionevolmente un gettito fiscale aggiuntivo che, unito al gettito dell’imposta sui prelievi, può coprire le nuove detrazioni e deduzioni fiscali, sostenere alcuni gruppi sociali più deboli che al contante non rinunciano (anziani) e sussidiare la moneta elettronica, i cui costi sono ancora molto alti sia per i compratori (canone annuo per l’uso della carta di credito, costo per transazione, bolli eccetera) che per i venditori (costo di attivazione e canone di utilizzo del Pos, commissioni sulle singole transazioni), mitigando i potenziali effetti recessivi.
In altre parole, lo scopo non è fare cassa aumentando la pressione fiscale, ma combattere l’evasione e favorire una redistribuzione dagli evasori agli onesti.
CHI GUADAGNA E CHI PERDE
Ma i contribuenti ci guadagnano o ci perdono? Per tutti i contribuenti onesti ci sarà un guadagno derivante dallo sgravio fiscale (per chi non paga Irpef, ad esempio perché ha un reddito molto basso, si può prevedere un cash?back sostitutivo dello sgravio fiscale).
Ci sarà però un costo derivante dall’imposta sul circolante, che non sarà interamente sostituito dalla moneta elettronica, per quei contribuenti che pur essendo onesti non rinunciano al contante, ad esempio perché trovano gravoso utilizzare le nuove tecnologie (i più anziani). Per questi ultimi, si potrebbero prevedere conti correnti e carte di pagamento gratuite (incentivo a passare alla moneta elettronica); e un meccanismo di redistribuzione a loro favore, per esempio utilizzando parte dell’extra?gettito derivante dalla riduzione dell’evasione per incrementare le pensioni, iniziando da quelle al di sotto dei mille euro (restituzione della tassa sul contante). Per i disonesti ci saranno invece solo i costi legati all’imposta.
Nel (Oslo: NEL.OL – notizie) medio-lungo periodo, assumendo che molti si convinceranno a munirsi di conto corrente, ad esempio sfruttando un effetto “contagio”, ci sarà quindi una massiccia redistribuzione di reddito dagli evasori ai contribuenti onesti.
Inoltre, sempre nel medio?lungo periodo, la riduzione dell’evasione può anche determinare, a parità di uscite, una diminuzione della pressione fiscale per tutti.
UN ESEMPIO CONCRETO
Facciamo un esempio semplice. Consideriamo una fattura di 100 euro su cui si applica il 22 per cento di Iva, relativa a una spesa attualmente non detraibile.
Supponiamo anche che l’esercente abbia sostenuto 70 euro di spese, fatturate regolarmente.
In caso di emissione di fattura e di conseguente dichiarazione dell’importo da parte dell’esercente finale, lo Stato incassa il 4,97 per cento di Irap più il 27,50 per cento di Ires (imposta sul reddito delle società), quindi circa 3
9,7 euro dal venditore finale (calcolato su 30 euro) e circa 22,7 euro dal fornitore (calcolato su 70 euro).
Per quanto riguarda l’Iva, l’esercente ha pagato 15,4 euro al suo fornitore (calcolato su 70 euro) e incassa 22 euro dall’acquirente finale, versando quindi 6,6 euro.
L’incasso totale per lo Stato è 9,7+22,7+22=54,4 euro.
Se il venditore non rilascia la fattura e non dichiara i redditi, lo Stato perde 9,7 euro di mancata Ires e Irap e 6,6 euro di mancata Iva, per un totale di 16,3 euro, ossia circa un terzo di quanto dovuto.
Il consumatore paga 115,4 (122 meno i 6,6 euro di Iva evasa), mentre il venditore ha un utile netto di 30 euro (115,4-15,4?70).
Supponiamo adesso che ci sia un’imposta sul prelievo di contante del 5 per cento e una detraibilità al 7 per cento della spesa.
Al consumatore che paga con moneta elettronica (evitando l’imposta sul contante) il bene o servizio costerebbe, in caso di richiesta di ricevuta, il 93 per cento di 122 euro (grazie alla detraibilità del 7 per cento), cioè 113,5 euro.
Quindi, per il venditore, l’unico modo per convincerlo a non chiedere la ricevuta è offrire il bene o servizio a un prezzo uguale o inferiore a 108 euro, dato che 108*1,05=113,4 (1,05 perché al prezzo di 108 euro abbiamo aggiunto il 5 per cento per il pagamento in contanti).
Ma a questo prezzo l’utile netto per il venditore è al massimo 108?15,4(Iva fornitore)?70=22.6 euro, mentre nel caso di emissione della fattura l’utile sarebbe di 122-22?70?9,7(Ires+Irap)=20,3 euro.
Se il venditore ritiene che non sia giustificato rischiare una multa (e forse una perdita di reputazione o, semplicemente, una figuraccia) per guadagnare solo 2 euro, emetterà la fattura.
In questo caso, lo Stato recupera i 16,3 euro evasi al costo di 8,5 euro (a causa della detraibilità del 7 per cento), con un guadagno netto di 7,8 euro. In caso contrario, lo Stato incasserà 5,4 euro di imposta sul circolante (il 5 per cento di 108 euro), recuperando parte dell’importo perso a causa dell’evasione. Il risultato è un aumento di gettito fiscale e una riduzione dell’evasione. I consumatori finali, comunque vada, ci guadagnano.
Può funzionare? L’ostacolo fondamentale è la possibilità di un aumento dell’economia sommersa che opera in contanti.
Negozianti, artigiani e professionisti, infatti, potrebbero essere tentati dall’uso del contante per il pagamento dei fornitori e dei dipendenti, i quali a loro volta useranno il contante, a questo punto non tassato, per i loro acquisti e così via.
Per evitare questa possibilità si dovrebbe disincentivare il risparmio e l’investimento in contanti, ad esempio vietando l’acquisto di strumenti finanziari, beni immobili o beni durevoli con denaro contante.
Oggi il divieto di utilizzo del contante per transazioni al di sopra dei mille euro di fatto impedisce molte di queste transazioni, ma si potrebbe fare di più abbassando il limite.